
La decisione dell'Agenzia delle Entrate di rendere pubblici su internet i redditi 2005 degli italiani rappresenta una palese violazione dell'articolo 167 della legge sulla privacy che punisce il trattamento illecito di dati personali. Non a caso, la procura di Roma ha aperto un'inchiesta, perché rendere pubblici i redditi mette a rischio i contribuenti, come ha evidenziato il Codacons nella denuncia penale contro il viceministro Visco presentata in 104 procure. Il Garante ha invitato l’Agenzia delle Entrate a far arrivare entro oggi tutti i chiarimenti richiesti “al fine di una piena valutazione della vicenda”. Il problema è che la diffusione su internet degli elenchi, anche per poche ore, ha reso ingovernabile la circolazione e l’uso di questi dati, così come la loro stessa protezione, e dunque lo stop alla pubblicazione dei redditi su internet ordinato dal Garante della privacy non ha certo risolto il problema. Anche per questo il Codacons ha annunciato l’intenzione di costituirsi parte offesa nel procedimento chiedendo un risarcimento danni di 20 miliardi di euro da distribuirsi tra i 38 milioni di contribuenti italiani, 520 euro circa a testa. La procura di Roma intende chiarire se effettivamente la scelta di mettere online gli elenchi di tutti coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi per il 2005 sia in contrasto col codice penale. Oppure se, come sostiene Visco, quei dati non sono da considerare ‘sensibili’, e quindi nulla può essere addebitato all'Agenzia delle Entrate. Ma che sia proprio Visco a sostenere questa tesi è quantomeno bizzarro. Quando infatti furono violati gli archivi dell'Anagrafe tributaria nel tentativo di scoprire, fra gli altri, i redditi di Visco e dei suoi collaboratori, il viceministro delle Finanze gridò allo scandalo, si precipitò alla procura di Milano e fece aprire un fascicolo per la violazione delle privacy, comportandosi come il più accanito difensore del segreto a tutela dei contribuenti. L'indagine fu archiviata, ma Visco pretese che l'Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza rafforzassero le misure di sicurezza per rendere impossibile l'accesso ai dati. Ora invece, con un comportamento assolutamente schizofrenico, ha messo in piazza i dati di tutti gli italiani, consumando una vera e propria vendetta contro chi ha mandato a casa il suo governo e lasciando una polpetta avvelenata al nuovo esecutivo. Le conseguenze di questo comportamento irresponsabile sono sotto gli occhi di tutti: su internet si è già aperto il mercato dei dati, e c'è gente disposta a pagare per avere gli elenchi, segno che intende servirsene per scopi illeciti. Ci si può aspettare anche lettere anonime, ricatti, guerre all'interno di aziende dove i dipendenti scoprono che qualche collega guadagna di più. Fioccheranno le spiate, le accuse contro i vicini che non pagano le tasse. Tanto peggio, tanto meglio, insomma, secondo la logica perversa che tende a dividere gli italiani tra evasori e delatori, dimenticando che questo tipo di accertamenti spetta unicamente allo Stato.
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