La gratitudine, si sa, non è un sentimento in voga in politica. Capita, per esempio, che l’ex vicepremier del governo Prodi, Francesco Rutelli, subisca una sonante batosta alle elezioni per il Comune di Roma. Che Walter Veltroni, sotto schiaffo per la sconfitta alte politiche, non gli faccia neppure un appunto. Anzi, che per assicurargli una poltrona e un ruolo addirittura lo imponga alla presidenza della commissione parlamentare per il controllo dei servizi segreti. Come ringrazia Rutelli? Passa una settimana e l’aiuto avuto dal leader del Pd è già acqua passata: contesta la collocazione del Pd in Europa nel gruppo del Pse e tenta di riorganizzare la componente dell’ex Margherita. Insomma, comincia la guerriglia contro Veltroni sul fronte opposto rispetto a quello scelto da Massimo D’Alema. Addirittura comincia a circolare t’idea di una possibile scissione dei cattolici di fede rutelliana dal Pd verso altri lidi. Magari per perseguire il vecchio sogno di dar vita a un nuovo centro con Pier Ferdinando Casini. È il tradizionale colpo basso contro il leader in difficoltà. Un classico nella storia dei partiti tradizionali che in questo caso però segnala anche un rischio peggiore: è il sintomo dei lLimiti di un’opposizione che da un momento all’altro potrebbe deflagrare. Il Pd, infatti, rischia di non diventare mai un partito ma solo un insieme di gruppi e fondazioni che servono solo a legittimare un gruppo dirigente che ormai ha perso ogni contatto con il suo elettorato. La nave affonda e, invece di far fronte comune, ognuno pensa a ritagliarsi un futuro. Dentro il Pd o fuori. In poche parole si sta scoprendo che il Pd non ha una coscienza collettiva e che è stato solo l’espediente del vecchio gruppo dirigente dell’Ulivo per arginare una sconfitta annunciata. Ora, dopo il voto e in balia della sconfitta, molti lì dentro pensano di trovare una ciambella di salvataggio.
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