Gli Stati Uniti non finiscono mai di stupirci, con il loro spirito pratico pronto ad adattarsi alle situazioni più difficili e a spazzare via in un colpo quei principi teorici che erano stati considerati intoccabili fino ad un minuto prima. Ma quando non c’è altra soluzione, bisogna fare di necessità virtù. Così il governo Usa è intervenuto per nazionalizzare Fannie Mae e Freddie Mac che gestiscono mutui immobiliari per 6 mila miliardi di dollari, la metà dell’intero mercato delle nuove case americane e addirittura 1/3 del reddito nazionale del Paese. Il Tesoro non poteva restare immobile dinnanzi a una crisi che, come ha detto il presidente Bush, presentava rischi inaccettabili per il sistema finanziario. I mercati asiatici e quelli europei hanno reagito con grande entusiasmo al salvataggio, anche perché banche cinesi, russe, giapponesi, non parliamo di alcune banche europee, e i Fondi sovrani del medio oriente, avevano investito l’equivalente di miliardi di dollari in obbligazioni dei due colossi dei mutui. Già c’era stato uno strappo al sistema liberista americano, quando nel marzo scorso venne salvata la banca d’affari Bear Stearns e tutta una serie di altri piccoli istituti di credito vennero tirati fuori dai guai dallo Stato compiacente. Aveva ed ha ragione il ministro Tremonti quando oggi dice che si è dimostrata la follia della finanza internazionale. Aveva ragione anche quando sosteneva che il mercatismo assoluto, il principio del libero mercato senza deroghe avrebbe incontrato un periodo difficile, nel quale si sarebbe dovuto tornare all’intervento dello stato per non colpire in maniera pesante le tasche dei cittadini. Il pregiudizio del libero mercato registra altre erosioni, quando si legge che negli Stati Uniti cresce la pressione dei giganti dell’auto in crisi, General Motors in testa, per ottenere sussidi dal governo ed evitare così il fallimento.
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